Marchionne. Grande manager o capo spregiudicato?

Da L’Espresso 11 ottobre 2012
Gli italiani amano dividersi: guelfi contro ghibellini, romanisti contro laziali, berlusconiani contro antiberlusconiani. E applicano la stessa passione anche alle questioni economiche. C’è chi tifa per Sergio Marchionne, per passione o per dovere, e chi tifa contro, per passione o partito preso. Ma chi è Marchionne? Il salvatore della Fiat e della Chrysler? Il manager italiano più amato dagli americani? O l’espressione più degenerata dell’avido capitalismo nostrano, che licenzia gli operai, attacca i sindacati, ma poi vive di sussidi statali?
Marchionne il rivoluzionario
Il primo volto di Marchionne è quello del rivoluzionario. Quando arrivò in Fiat, nel 2003, la società era sull’orlo del fallimento. Il debito era stato da poco declassato a spazzatura, i nuovi modelli languivano e la struttura interna, faraonica e burocratica, assomigliava a un ministero. I manager non si parlavano direttamente, ma solo tramite le segretarie, come i dignitari di imperi che furono. In questa corte orientale Marchionne portò il pragmatismo anglosassone. Molti livelli di burocrazia furono eliminati. Tutti i manager furono costretti ad assumere molteplici funzioni in diverse divisioni dell’impresa per favorire lo scambio di informazioni e la fertilizzazione incrociata. Molti modelli, progettati ma mai realizzati, furono lanciati, con grande successo. Questa cura da cavallo salvò la Fiat dalla bancarotta e fece schizzare il prezzo delle azioni. Allora Marchionne era osannato da tutti. Poi venne la crisi.
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